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Cultura
Un inedito di Gregorio Preti
di Achille della Ragione
Una importante aggiunta al catalogo di Gregorio Preti è costituita dalla tela, raffigurante Cristo e l'adultera (fig. 1) in collezione Salvatore Canato a Torino che illustreremo ai nostri lettori in questo breve articolo, operando dei raffronti con altri dipinti dell'artista, fratello maggiore del più noto Mattia.

Abbiamo chiesto il parere sul quadro ad alcuni noti napoletanisti, il primo autore di un libro sull'artista, il secondo tra gli organizzatori della recente mostra (fig. 2) tenutasi nel 2019 a Roma, che ha inquadrato in maniera esaustiva l'opera dei due fratelli ed entrambi hanno avanzato l'ipotesi di un dipinto eseguito in collaborazione tra i due germani, ipotesi che mi trova consenziente, anche se ritengo che gran parte del merito spetti a Gregorio.

Appena ho cominciato a studiare la tela, sia per la mia passata professione di senologo ed in parte per la passione che ancora coltivo verso il più importante attributo femminile, sono stato attirato dalla fanciulla in primo piano, per la quale a mio parere è stata utilizzata la stessa modella presente nel San Nicola salva il fanciullo coppiere (fig. 3 - 4), conservata a Fabriano nella chiesa di San Nicolò e nella Presentazione al Tempio (fig. 5 - 6) del museo civico di Viterbo, a lungo attribuita da Roberto Longhi al giovane Antiveduto Gramatica e di recente restituita al pennello di Gregorio dal valente studioso Giuseppe Porzio.

Dopo aver ammirato lo splendido seno della modella spostiamo lo sguardo sugli occhi puntati verso l'alto, a rimembrare la lezione del "sotto in su" del celebre Guido Reni e possiamo essere certi di essere davanti alla stessa fanciulla che ha posato per gli altri dipinti dell'artista che prima abbiamo citato. Anche altre figure che compaiono nella composizione possiamo ritrovarle in altre opere eseguite dal pittore calabrese durante il suo soggiorno nella città eterna, per cui l'autografia non lascia alcun dubbio.

Vogliamo ora accennare brevemente alla biografia di Gregorio, sottolineando che negli ultimi 30 anni la critica ha operato una profonda rivalutazione della sua attività ed il pittore è uscito da un cono d'ombra generato dal generalizzato silenzio delle fonti e dei biografi, ad eccezione del De Dominici.

Egli nacque nel 1603 circa a Taverna, in Calabria, da Cesare e da Innocenza Schipani (De Dominici, 1745, 2008, p. 590 s.). La sua figura di pittore è rimasta a lungo nell’ombra di quella del più celebre fratello minore Mattia.  

Giovanni Vecchio de’ Vecchi da Fabriano lo dice «allievo dello Spagnoletto e poi di Domenichino, maestro di Giacinto Brandi e di Mattia suo fratello» (Spike, 1997, p. 15). Ne consegue che, se è lui quel «Gregorio dello Preti napoletano» censito nel 1624 a Roma, qui sarebbe giunto in tempo per frequentare l'«Accademia di Domenichino» prima che quest’ultimo partisse per Napoli nel 1630.

Dal 1632, e per oltre quarant’anni, fece parte dell’Accademia di S. Luca e della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon. A Roma, facilitato verosimilmente dalla protezione degli Aldobrandini, titolari in Calabria del feudo di Rossano, strinse rapporti con influenti collezionisti.

Fu così che nei confronti del fratello Mattia, che lo avrebbe raggiunto nel 1632 e con il quale abitò sino al 1636, svolse il ruolo di apripista più che di maestro, riducendosi, a suo dire, «a strapassar l’arte per allevare il fratello alla virtù» e dipingendo «per bottegai che allora erano ricchi e famosi e facevano lavorare» (P.J. Mariette, Abecedario… (ante 1742), IV, Parigi 1857-1858, p. 207).

Ciò spiegherebbe i quadri da stanza a lui attribuiti: (Quattro ovati, Ariccia, palazzo Chigi; Concerto, coll. privata (Spike, 2003, p. 34); Gesù che disputa con i dottori, Londra, National Gallery; Scena in una taverna, Roma, Circolo ufficiali delle forze armate d’Italia, palazzo Barberini; quattro tele per la collezione Gabrielli, ora a Roma, palazzo Taverna), nei quali oscilla tra l’attenzione classicista e il tentativo di adeguarsi ai dettami caravaggeschi, interpretati con maggior forza dal promettente fratello.

Da quest’ultimo fu aiutato negli stessi anni in opere quali il Matrimonio della Vergine (Grosio, S. Giuseppe, 1642-44), l’Apostolato (incompleto e smembrato tra l’episcopio di Nepi e la cattedrale di S. Maria Assunta a Sutri), Pilato che si lava le mani (Roma, Centro congressi Rospigliosi), la Flagellazione di Cristo (Roma, ospedale S. Giovanni Calibita), la Madonna della Purità (Taverna, S. Domenico).

Fu invece autonomo nella Madonna della Provvidenza (Taverna, S. Domenico, 1632 circa) e a Roma, nelle stesse sedi in cui, in una sorta d’impresa familiare, era contemporaneamente impegnato anche Mattia: a S. Pantaleo realizzò un S. Flaviano, ora disperso e a S. Carlo ai Catinari, sulla controfacciata destra, S. Carlo che fa l’elemosina (1652).

Un riflesso del sodalizio si rintraccia, inoltre, nei conti di Marcantonio Colonna, che registrano un pagamento (1651) a favore di entrambi i Preti  per un gruppo di tele, di cui otto del solo Gregorio; tra queste i Ratti di Europa, di Proserpina e di Ganimede (Roma, Galleria Pallavicini).

Partito il fratello da Roma, Gregorio restò fedele alla matrice idealizzante di Domenichino e, nella seconda metà del Seicento, eseguì un David e Golia e il Ritorno del figliol prodigo per la cattedrale di Fabriano, e un S. Nicola in estasi e il Miracolo di S. Nicola per la chiesa di S. Nicolò nella stessa città; per Taverna dipinse inoltre l’Estasi di S. Teresa d’Avila e S. Martino vescovo e quattro santi (rispettivamente nelle chiese di S. Barbara e di S. Martino).

Infine, secondo Filippo Titi (1674, p. 429) fece a Roma un S. Antonio di Padova con Gesù Bambino nella chiesa di S. Rocco a Ripetta, rinnovata nel 1663.

Sposò nel 1668 Santa Duchetti, vedova aquilana, avendo come testimone il pittore Giacinto Brandi. Morì a Roma il 25 gennaio 1672 (Spike, 2003, pp. 102 s.). 

Pur lontano dai risultati raggiunti dal fratello, riuscì un «pittore di buon nome» (De Dominici, 1745, 2008, p. 590), guadagnandosi uno spazio tra i sostenitori della poetica classicista.

Vogliamo concludere questo nostro contributo correggendo un errore su Mattia Preti presente su tutti i libri e dovuto a quanto dichiara il De Dominici: il "Cavaliere calabrese" lascerà Roma per Napoli il 22 marzo 1653 e non nel 1656 durante l'infuriare della peste.

Per chi volesse approfondire l'argomento può consultare in rete il mio libro "Errori e bugie sulla storia di Napoli" a pag. 9.                                                                                                                                 
5/4/2020
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