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Recensioni
BILL di Helen Humphreys
di Luigi Alviggi
Helen Humphreys è una scrittrice e poetessa canadese pluripremiata in molti contesti nazionali e nota all’estero dove ha avuto buoni successi di pubblico. In Italia Playground ne ha pubblicato diverse opere, questo è il suo nono romanzo. La prosa è incisiva e attenta, specie nei momenti clou della vicenda, e a un tempo delicata e avvincente. L’Autrice confessa che il libro è stato ispirato da una storia di cronaca vera. Una storia aspra, amara, dilaniante, tracciata con l’accetta, come capita avvenga in lande sterminate ove lo scarso contatto coi propri simili può guidare a comportamenti incontrollati, dettati dall’impulso del momento.

Come ambientazione iniziale siamo, verso la fine degli anni 40 del secolo scorso, negli sterminati spazi rurali canadesi. Due i protagonisti: il selvaggio Bill (Billy) Dunn, barbone del villaggio, e il piccolo Leonard (Lenny) Flint, un dodicenne solitario e senza amici che stringe un’amicizia contrastata - ma di quelle che durano l’intera vita - con l’adulto, altrettanto asociale, e afflitto da tutte le piaghe che segnano, anch’esse per sempre, un reduce di guerra. E, all’inizio, l’insofferenza dei due verso l’esterno è molto simile. Ferite non rimarginabili, i cui effetti gli sventurati finiscono spesso col riversare nel tempo a seguire sulle persone vicine più care.

Leonard è il narratore. Bullizzato a scuola e figlio unico di genitori gelidi trova il solo sostegno nell’estraneo, unica fuga dal mondo oppressivo e malvagio che lo tormenta. La famiglia vive in una casa cantoniera vicino la linea ferroviaria di cui il padre è guardiano. Questi in casa parla pochissimo, lontano come la madre, una fotocopia.

Bill, uomo in tutto libero, si mantiene con qualche lavoro saltuario e cacciando conigli selvatici per venderne le zampe posteriori come amuleti nella cittadina vicina. Abita in un piccolo antro scavato nella collina, tenuto su da assi di legno recuperate dalla parte di ferrovia in disuso, con due cani. Lì capita spesso Lenny e, a volte, mangiano insieme cibi prodotti anche dall’orto che l’uomo cura vicino “casa”.

Senza appoggi, tormentato da un gruppo di ragazzi che lo picchiano appena possono, il bambino trova in Bill il padre adottivo che apre i suoi segreti e inizia ad affacciarlo al mondo esterno. Fulminante succede però che Bill uccida con la cesoia proprio il capo bullo - chiamato il Cobra - avvicinatosi a loro in paese, offensivo, mentre l’uomo sta pulendo il giardino come richiesto dalla vecchia proprietaria. Avviene tutto in un istante! L’esplosione improvvisa di un’ira repressa per anni che sfoga in pura violenza, distruggendo tutto quanto alla portata. Al terrore assoluto di Lenny, testimone del fatto, l’uomo risponde “Se l’è cercata”.

C’è una cosa che non confesso a nessuno: non sono an¬dato a cercare aiuto. Sono rimasto lì, accanto alla siepe, con un sentimento di soddisfazione che mi strisciava nel sangue come un verme, lento, alla vista del Cobra che mo¬riva. Ero felice che Bill lo avesse pugnalato. Era il gesto più bello che qualcuno avesse mai compiuto per me.

Scende un lungo intervallo - 12 anni - e tutto cambia. Siamo ora a Weyburn, un gigantesco ospedale psichiatrico d’avanguardia dove - tra pazienti e personale - vivono più di 2.500 persone e si crede che “nessuno sia sano, e nessuno pazzo”. Lì si cerca di comprendere la realtà dei pazienti sperimentando l’LSD nei medici: la droga produce effetti schizofrenici proiettando in una realtà alternativa e dovrebbe aiutare i dottori a capire meglio le situazioni incontrate.

La cosa, a tutta prima, disorienta molto il dottor Flint impreparato alla pratica inattesa. Ma, bene accolto e passato il trauma iniziale, scopre che la vita nell’ospedale è passabile e questo nonostante la fidanzata, Amy, lo lasci a breve perché - dice - afflitta dalle troppe lettere che le scrive e dalla distanza che ormai li separa.

Viviamo dunque l’assuefazione del giovane medico alle tante novità del nuovo lavoro, il primo avuto subito dopo la laurea. Lo sviluppo procede (quasi) normale finché una sera, tornando all’abitazione da una festicciola interna - i sanitari, come i pazienti, passano tutto il tempo nell’enorme struttura avendo abitazioni singole - crede di intravedere la sagoma lontana di un uomo identico a Bill, che sa in carcere per la condanna inflitta dopo l’omicidio.

L’indagine successiva nello schedario col direttore Christiansen conferma l’impressione, ma il primario ribadisce che è impossibile per lui avere contatti con quel malato che, peraltro, potrebbero essere nocivi. Ma - passa nella mente di Lenny - si trova forse di fronte a un regalo del destino? Il passato non è “una terra straniera”: - Mi manca Bill, mi manca quel pezzo del mio passato in cui ci conoscevamo e ci appartenevamo. E mi manca il futuro che non abbiamo mai avuto. Mi manca la possibilità reale di un lieto fine. Mi manca l’invenzione di una macchina che trasformi un’azione sbagliata in pensiero, la rabbia in amore.

Divieto inutile, così il medico al primo incontro ravvicinato scopre che il Bill di oggi nemmeno lo riconosce, sicuro effetto delle terapie psichiatriche di oltre un decennio. In parallelo un secondo evento, benigno questo, lo colpisce senza quasi aver mosso un dito: la moglie del direttore - Agatha, donna bellissima - gli cade tra le braccia poco dopo averlo conosciuto.

Pare proprio che Lenny debba crescere in fretta... Comprende che lo scopo di fondo del suo studiare medicina, e in particolare psichiatria, è stato quello di poter aiutare Bill in ogni modo possibile. Non vede cos’altro avrebbe potuto fare vedendolo allontanarsi in manette tra i poliziotti accorsi sul luogo del delitto. E, se Agatha gli satura i sensi, può scoprire presto che la buona volontà che lo anima verso i pazienti non è, di per sé, sufficiente a penetrare la scorza consolidata sotto la loro pelle negli anni. I suoi primi approcci falliscono con tutti. Dovrà muoversi con molta maggiore cautela, a partire dallo stesso Bill svanito.

Crescendo l’esperienza sul posto, comincia a condividere il pasto serale andando a trovare Bill nelle scuderie. Ha scelto di lavorare con i cavalli preferendo ancora la compagnia degli animali a quella degli uomini. Di giorno li porta al lavoro nei campi dell’ospedale e la sera provvede alla loro cura e al riassetto.

Aumenta così la forza del legame tra gli antichi amici e, pian piano, la presenza ripetuta risveglia anche in Bill qualcosa andata persa negli anni, un affetto sopito comincia a ridestarsi. Ora per il medico si pone, prima a livello inconscio ma man mano acquistando forza, il dubbio se quel legame ancora così vivo non nasconda qualcosa di più perverso nei tanti contatti avvenuti tra l’adulto e il bambino. Il dilemma, all’inizio superficiale, inizia a scavare nel profondo e il medico è impreparato per qualsiasi svelamento.

La presenza assidua presso Bill ha fatto però dimenticare a Lenny gli obblighi professionali, ed ecco la tempesta addensarsi di nuovo sul capo: un suo paziente, pericoloso incendiario, scompare nell’ospedale, e così a rovinargli addosso è un passato che incredibilmente si ripresenta tutt’intero. Bill da parte sua dimostra ancora una volta di essere uno di quegli individui nei quali una diga interna può cedere di botto e tutto quanto finallora trattenuto dalla struttura precipita a valle causando un’enorme tragedia: l’imprevedibile ne governa la vita.

Per le gravi omissioni sul lavoro il medico viene licenziato. Ora gli diventa necessario capirsi e, per questo, non gli resta che mettersi nelle mani di un collega, l’unico amico fattosi a Weyburn, William Scott:
William è intenzionato ad andare in fondo alla mia ossessione per Bill. È questo il termine che usa - ossessione - e non posso di certo contraddirlo. Anche adesso sono ansioso di sapere come sta Bill, dopo che è stato rispedito all’ospedale psichiatrico giudiziario. Di tanto in tanto chiedo a William di informarsi, di chiamare per chiedere sue notizie, ma lui si rifiuta. Dice che complicherebbe le cose, che il mio problema è sempre dipeso dal fatto di co¬noscere Bill, e che ormai dovrei aver capito che è meglio non proseguire su questa strada. È convinto, anche se non si espone mai e non arriva a dirmelo in faccia, che quando ero ragazzino lui abbia abusato di me.

William, in nome dell’amicizia, vuole spiegare l’ossessione di Lenny per Bill per restituirlo al suo vero sé e liberarlo da un legame che ha finito per condizionargli la vita, e di questo fa anche un motivo di successo personale. Ma, nonostante la massima buona volontà reciproca, la situazione non riesce a sbloccarsi. Lenny ricorda poco del lontano passato e i ripetuti colpi alla porta sbarrata da parte di Scott non hanno il potere di schiuderla.

Passa un altro decennio e troviamo Lenny tornare a casa per il funerale del padre. Ora - Weyburn ha chiuso nel frattempo - lavora con microscopi in un laboratorio di Toronto. Ha lasciato gli uomini per i vetrini ma mantiene i contatti con Scott. Ha una moglie, Maggie, e una figlia di sei anni, Sarah, i maggiori affetti dell’oggi.

Pur nella confusione iniziale i contatti con la mamma Janet e le vecchie cose familiari paiono fargli bene. Poi lo afferrano i ricordi delle percosse frequenti, violente e prolungate, del padre, che non risparmiava nemmeno la moglie. Una violenza bestiale ingiustificata forse buona a sfogare la rabbia cronica delle innumerevoli frustrazioni di vita. Un macigno onnipresente sulla strada per impedirgli il futuro.

E solo ora, rientrato a casa adulto, è una vecchia amica di famiglia a spiegargli tante cose: il padre furioso, anch’egli reduce di guerra, e Bill che aveva lasciato moglie e tre figli per la vita randagia, forse proprio per non scaricare su di loro, innocenti, la rabbia inestinguibile accumulata durante la lunga guerra. Fatti del tutto ignoti all’allora bambino.

La visuale di Lenny può dilatarsi una seconda volta. Ci sarà poi l’ultima rivelazione della madre, la peggiore, inattesa quanto le altre ma ancor più destinata a incidere profondamente e a farlo davvero rinascere come uomo diverso. Il mondo e la psichiatria, divenuti remoti, potranno riaffacciarsi a portata e un giorno - vicino o lontano, impossibile dirlo - il nuovo Lenny riuscirà a riappropriarsene con non poca fatica e forse a soddisfare il latente obiettivo primario: aiutare Bill. Poi il destino, come troppo spesso accade, decide come gli pare...

Billy “zampe di coniglio” e Lenny “medico d’avanguardia” potranno mai riaffiancare le strade in una mutata realtà per tentare un cammino diverso dal precedente, interrotto bruscamente, fuori da ogni volontà, da tragedie immani piovute addosso come fuscelli sollevati dalla tempesta e fatti cadere su spalle impreparate?

«Leonard, perché ha deciso di diventare psichiatra?
«Voglio aiutare le persone che non riescono ad aiutarsi da sole.»

È indubbio che il vero nodo esistenziale del medico è rimasto e rimarrà legato all’unica persona che lo ha protetto ben due volte nei momenti più difficili della vita. Non avrebbe potuto essere altrimenti: è lui a incarnare l’affetto più intenso che l’accompagnerà sostenendolo in ogni istante dell’esistenza. D’altra parte il vero Billy per Lenny è solo questo:

«Non era un vagabondo. Semplicemente viveva in un mondo diverso

E lui è stato l’individuo che gli ha dato, a tempo debito, l’unico affetto familiare degno di questo nome!
Luigi Alviggi


Helen HUMPHREYS: BILL
traduzione di Chiara Brovelli
Playground, 2020 - pp. 224 - € 17,00

30/7/2021
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