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Rieccoci, Pipita senza cuore
di Mimmo Carratelli (da: il Mattino del 28.10.2016)
Caro figlio (figlio, poi, non diremmo proprio) che ci hai fatto incazzare, come dice Sarri, ma c’è passata, e come se c’è passata, eccoci al rendez-vous, come diresti nel tuo francese di Brest, eccoci a Juve-Napoli, tu contro i tuoi ex armato della casacca bianconera che ti sfila ma non tanto.

Eccoti da re regnante a Napoli a principe consorte a Torino, un soldatino come ti definirebbe Cassano, uno dei tanti alla Juve come ha detto Paolo Rossi aggiungendo che Dybala no, Dybala non è uno dei tanti, è uno dei più forti in Europa, insomma, bello mio, non proprio il massimo, ma a sette milioni l’anno tutto va bene, anche Vinovo che non è il dolce stil Vinovo che pensavi.

Non eri felice a Napoli fino a dare di testa contro uno scoglio caprese perché Lorenzino Insigne tardava a passarti la palla, Callejon tardava anche lui, Hamsik, poi, te la dava ma non come volevi tu, e così, in mezzo a tanta disperazione tu sbracciavi e sbuffavi, con quella barbetta orientale come un imam irritato, un guerrigliero in eterno conflitto col mondo.

Ma com’è che poi hai fatto 36 gol e stabilito un record in Italia, come è potuto succedere se ti sentivi un eterno incompreso?

Come li hai fatti quei gol se non ti davano la palla o te la davano male, come hai fatto?

Ti portavi un pallone da casa e, senza l’aiuto di nessuno, andavi a infilarlo nelle porte avversarie?

Ohè, c’era tutta una squadra che giocava per te.
Al di là del tuo carattere ombroso, e diciamolo pure fastidioso e irritante, i palloni di tutti gli azzurri erano per te, sicuramente perché eri il più bravo a sbatterli dentro, ma ci voleva sempre una santa pazienza a sopportarti, a vedere quella tua faccia tagliata per il disgusto, più un francese sopracciò che un argentino dal cuore generoso.

Di argentini ne abbiamo avuti tanti a Napoli. Sivori che da juventino diventò napoletano e, quando finì di giocare, comprò due fazende e le chiamò “Juventus” e “Napoli”.

Il Pampa Sosa che ancora si commuove per il Napoli.

Quello scapicollo di Lavezzi, morto di nostalgia a Parigi per gli irripetibili asado di fronte al mare di Posillipo da scapparsene in Cina.

Il delizioso Daniel Bertoni e il piccolo, indimenticabile Juan Carlos Tacchi.

Il petisso Pesaola, il più grande cuore azzurro di sempre, napoletano nato per sbaglio a Buenos Aires.

E Diego che definì Napoli “seconda mamma mia”.

Solo tu, Pipita, peggio del triste Ramon Diaz, restavi fuori dall’incantesimo napoletano, prigioniero di una città che aveva imparato persino ad amarti (e ti metteva fra le statuine di San Gregorio Armeno) e di una squadra che aveva il torto di non vincere tutto e subito, però come diceva tuo fratello e procuratore Nicolas “se giochiamo senza arbitro possiamo vincere lo scudetto”, e non è che la mandasse a dire a chiunque, ma pensava proprio a “quella là”.

Perdonaci, Pipita, se ti abbiamo fatto soffrire. Però anche tu mai un sorriso aperto, mai una esaltazione per noi.

Sì, le braccia al cielo le alzavi dopo un gol, ma l’impressione era che era il tuo cielo, non il nostro.

Hai mai regalato, dedicato, offerto un gol a Napoli, a questa città che chiede amore in mancanza di tutto il resto?

Quando, al capolinea di una crisi maturata con le sciagurate giocate contro la Lazio e con la nazionale argentina, Sarri ti confezionò un insperato rilancio, è vero che una volta, segnato un gol, ti buttasti tra le braccia dell’allenatore, ma non sembrò neanche un gesto d’affetto e di riconoscenza, per poco anzi non mandasti gambe all’aria il buon Maurizio.

Fu la violenza del tuo io liberatosi dai fantasmi. Perché il tuo cuore è una cassaforte, non un muscolo sentimentale.

Ecco, Pipita, noi ora siamo contenti che ti sei sistemato a Torino dove “non si affittano a meridionali”.

Tu sei così poco meridionale che ti hanno affittato e hai trovata casa, anzi la real casa, così simile a loro, non diciamo falso e cortese, ma, insomma, col cuore a forma di Fiat, un cuore da catena di montaggio, e un gran profumo di Arrogance molto usato nel club dei discendenti junior.

Però, però, cominciamo a rivedere i tuoi gesti di stizza perché alla Juve non ti passano il pallone, non passano il pallone a 90 milioni di euro, che spreco!, mentre a Napoli, al tuo passaggio, dal portinaio al giornalaio, al pescivendolo, al fruttivendolo, tutti ti passavano il pallone.

I giornali discettano di “solitudine di Higuain” e qualcuno ha scritto “il vantaggio della Juve di avere Higuain è averlo tolto al Napoli” e fanno le pulci ai tuoi “numeri”: non segni da quattro partite, in dieci gare bianconere quattro le hai passate senza tirare in porta, nessuno dei compagni ti capisce, la palla passa raramente da Dybala ai tuoi piedi-dinamite, Mandzukic dall’alto del suo metro e novanta non ti vede, Cuadrado va per conto suo, Khedira fa l’attaccante, e si dice addirittura che la Juve non è abituata a un centravanti con le tue caratteristiche da 90 milioni. Azz!

Poi, ieri, a Vinovo, hai detto a un tifoso delle tue amate strisce che tornerai a segnare sabato sera. Un gol? No, due. Una doppietta al Napoli. Non s’è capito bene se è una promessa o una minaccia.

Ma, Pipita, stai sereno. Fa’ pure. Non ti chiameremo core ‘grato. Perché tu non hai cuore. Altafini era un briccone amabile e quando lo definimmo core ‘ngrato c’era un dispettoso amore per Josè e una simpatia solo offuscata.

Tu con i 36 gol del record non hai lasciato niente a Napoli.

Uno dei tanti, dice bene Paolo Rossi.

Indifferentemente, come dice la canzone.

Facce quello che vuo’, se ti riesce, tanto ‘o ssapimmo ca nun si’ cchiù niente.
28/10/2016
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