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Recensioni
Il Camilleri insolito
Splendore e declino di un'adolescenza all'ombra della pensione Eva
di Emanuela Cicoira
«Papà, vero è che dintra a 'sta casa i màscoli si possono affittare fìmmine nude?».

L'impavido Nenè, ancora prigioniero del regno ovattato dell'infanzia, osa formulare la domanda a lungo meditata sulle misteriose attività notturne della pensione Eva. E finisce con lo scoprire, nonostante la laconica risposta del padre («Sì». «E che ci fanno?». «Se le taliano»), che lì dentro ci sono davvero delle "fatuzze bone" pronte ad aiutarti, ma per affari un po’ diversi rispetto a quelli da lui immaginati alle elementari, e riguardanti briganti di passo, uomini neri, lupi e affini…

Comincia così, tra curiosità e immaginazione, deduzioni personali e notizie carpite di straforo sui segreti racchiusi oltre quelle persiane verdi perennemente abbassate, la storia di una crescita, la naturale scoperta, a tappe, per rivelazioni successive, dell'amore e del sesso, ma anche della vita stessa e del mondo, di cui il bordello del paese, con le storie di gioia e di dolore delle umane genti che vi abitano e vi transitano, si fa specchio lucido e impietoso.

Questo libro del 2006 è stato per Camilleri una "vacanza narrativa" (che vada in vacanza più spesso, viene da pensare dopo averlo letto). Abbandonato il celebre Montalbano alle beghe commissariali e agli intrighi gialli della sua Vigata, si è cimentato col rosso e col nero, e ovviamente col rosa, dando prova di una eccezionale (in verità già indiscussa) completezza letteraria.

“La pensione Eva” ha il fascino antico e romantico delle memorie dei nonni raccontate davanti al caminetto. Sa di tempo trascorso, di frittura e di vino, di pane e di agrumi della vecchia Sicilia. Sornione e sorridente dietro la sua prolifica penna, l’ultraottantenne scrittore presta a un ragazzino il diminutivo con cui veniva chiamato da piccolo, malgrado nelle note conclusive neghi ogni legame autobiografico (del resto non sarebbe cosa né insolita né disdicevole). E noi, va bene, gli crediamo, pur riservandoci il beneficio del dubbio.

Diciamo allora che Nenè potrebbe essere il padre di Montalbano: anche lui è di Vigata, dodicenne quando sbircia per la prima volta nel portone della pensione, abitante d’un piccolo mondo antico in procinto di sgretolarsi sotto le bombe di una guerra mondiale vissuta – come dalla maggior parte della gente comune di allora – con la rassegnazione di chi subisce un flagello inevitabile… Perché alle soglie degli anni ’40 Nenè, Ciccio e Jacolino sono giovani e spensierati. Passata l’età critica in cui ci si ritrova di colpo sospesi in un indefinito limbo dell’esistenza, già troppo lontani dal parco-giochi dell’infanzia e ancora esclusi dalle cose dei grandi; superati i malumori, le sensazioni d’inadeguatezza delle fasi di cambiamento («Possibile che solamente lui era destinato a restare picciliddro tutta la vita?...»), i protagonisti di questo breve romanzo di formazione si sentono d’un tratto padroni di loro stessi, pieni di baldanzosa voglia di «capiri qualichi cosa di lu munnu, di la vita».

Il padre di Jacolino “si piglia la gestione”, ed è via libera, non c’è più bisogno di aspettare i diciott’anni.
Mentre fuori la guerra fa strage di corpi, coscienze e anni, niente sembra turbare l’originale armonia dell’universo gravitante attorno al mestiere più antico del mondo.

Alla pensione Eva le ragazze cambiano ogni quindici giorni: vi capita Tatiana, la “bottana” comunista, affezionata (con esiti bizzarri) al ritratto di Stalin regalatogli dal padre; Ambra, la bigotta, che tiene la camera piena di santini e scambia per un angelo un soldato paracadutatosi sul tetto; Nadia, la brava ragazza col fratello in carcere e il problema di trovare i soldi per la causa…
Nenè non tarda a convincersi che in quel luogo sempre più familiare, dove lui e i suoi amici prendono l’abitudine di cenare tutti i lunedì, succedono “prodigi e miracoli” inimmaginabili.

La “Signura Flora”, la maitresse, ex insegnante di lettere, dà ripetizioni all’altrimenti scarsissimo latinista Jacolino, e a scuola cominciano improvvisamente a fioccare i 9; l’ottantenne cavaliere Calcedonio Lardera, cliente fisso solo per compagnia, ormai da tempo relegatosi al ruolo di “consigliere”, ritrova la virilità perduta a suon di bombe esplose; il “baronello” Giannetto Nicotra di Monserrato, nobile, ricco e sposato, si innamora di Romilda Casagrande in arte Siria, arrivando a escogitare un romanzesco piano per fuggire con lei…

Il racconto scorre veloce, divertente, a tratti amaro, agrodolce come una pietanza siciliana, sempre tenuto vivo da quel linguaggio regional-camilleriano tanto adatto a far immaginare posti, fatti, personaggi.
E intanto, tra una storia assurda e un’altra incredibile, una ridicola e una romantica, passa la stagione degli amori e viene quella delle armi.

La guerra è alle battute finali. Ci sono soldati stranieri da cacciare, paesi da ricostruire, macerie da scavare e morti da seppellire.

A Nenè arriva la “cartolina rosa” in anticipo. Nel torrido luglio del 1943 parte, combatte, diserta. Al suo ritorno niente è più come prima. Nel pallido scenario della disfatta ha guardato in faccia la morte e imparato ad amare la vita. La sua famiglia è divisa, il suo paese distrutto, ma lui se l’è cavata. Può finalmente riabbracciare Ciccio e ricordarsi che… è vero (manata sulla fronte): è il giorno del suo diciottesimo compleanno! E dopo una scorpacciata di sardine arrostite (su una tegola), tante risate liberatorie e una bella sbronza notturna in riva al mare, il rumore della risacca sullo sfondo, con l’amico ritrovato ritornerà nel posto dove un tempo sorgeva la pensione Eva. Lì, seduto sulle rovine della sua adolescenza, fumerà la sua prima sigaretta…

TITOLO: La pensione Eva
AUTORE: Andrea Camilleri
CASA EDITRICE: Mondadori 
ANNO: 2006
PAGG: 188
PREZZO: € 14

25/7/2010
  
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