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Cultura
Ferito a Morte
Raffaele La Capria rivisitato
di Carla Palma
Raffaele La Capria
“...a pensare ai miei passi domani nel rispettabile squallore di strade sconosciute, in una città senza Vesuvio e senza estati, dove i palazzi non finiscono sotto il mare, l'occhio affiorante della Foresta Vergine non ti minaccia nella tua integrità, e la Natura o una bella giornata non vince la Storia – col tempo regolato dall'orologio e dalla busta paga.”
Vi invito, nel caso non l'abbiate già fatto, a leggere “Ferito a Morte” di Raffaele La Capria, pubblicato la prima volta nel 1961 e oggi definito da Antonio D'Orrico su Sette il settimanale del Corriere Della Sera, “il miglior romanzo immaginato dalla sua generazione”.
Sicuramente "Ferito a Morte" fa dell'autore uno dei più grandi scrittori italiani contemporanei e leggerlo (ancor di più per un napoletano) è come un continuo, straziante ritrovarsi e ritrovare i luoghi e le persone e la cultura che ci appartiene e che ci domina, la nostra stessa essenza.
Il romanzo si sviluppa in dieci capitoli che ripercorrono circa dieci anni di vita del protagonista Massimo De Luca, che adombra lo stesso La Capria, dall'estate del 1943 a quella del 1954, ed un nugolo di personaggi indimenticabili che nei tratti essenziali ci sembrerà di conoscere già da tempo uno per uno: Ninì il fratello, il mitico Sasà, gli amici del Circolo.
La storia si sviluppa completamente sganciata da ogni ordine logico-temporale e segue i flussi rapidi della coscienza e della memoria utilizzando tecniche narrative innovative, monologo, racconto in terza persona, dialogo diretto, indiretto, con un risultato spiazzante e di gran fascino.
Uno stesso racconto viene riproposto da diverse angolazioni e a seconda di chi lo narra arricchito ora da questo ora da quell'altro particolare inedito.
In realtà scopriremo che un'unica vera storia forse non c'è: La Capria, ripercorrendo alla rinfusa luoghi, momenti e persone del suo passato sembra rifugiarsi nell'andito segreto della sua coscienza dove ogni cosa che è accaduta è divenuta - malgrado tutto, sua - e dove continuerà ad appartenergli all'infinito. In altri mille posti e fra mille anni per sempre. O per sempre mai più? Può la memoria possedere il proprio passato ciò che ormai appare irrecuperabile?
E' inutile indagare il segreto della vita, possiamo solo, ripensando a quel che è stato, coglierne in parte, a tratti il senso "fanne un mistero se vuoi, ma non un dramma, vivi se ti va, e se ti va di lasciarti morire lasciati morire".
Il romanzo si apre con il dormiveglia di Massimo ancora a letto in un mattino d'estate a Palazzo Medina che chiaramente adombra Palazzo Donn' Anna che sorge come uno scoglio sul mare con tre lati nell'acqua proprio all'inizio di Posillipo, un mattino che ha il colore, il sapore e sì, l'odore della bella giornata e con un sogno, memorabile incipit: "la spigola quell'ombra grigia profilata d'azzurro.." la spigola mancata dal provetto pescatore diventa la Grande Occasione mancata a causa del sopravvenire della Cosa Temuta, una pigrizia maledetta che costringe a disubbidire, - la vita che nel momento decisivo ti abbandona - l'incapacità di portare a termine quanto si è cominciato, qualcosa di inafferrabile che fiacca la volontà.
Massimo è in procinto di partire e in queste ultime ore napoletane, con l'estate che prepotente bussa alla sua finestra, (i colpi del maglio gli dicono che gli stabilimenti stanno montando le palafitte e le cabine: i primi bagnanti presto affolleranno gli stabilimenti) scorrono nel ricordo le fasi della sua vita.
La dorata gioventù napoletana, i bar alla moda, il Circolo Nautico le giornate intere a chiacchierare, a pescare, e ad arrostirsi al sole.
A Napoli abbiamo il mito della "bella giornata" così che appena ne abbiamo una ci viene naturale abbandonare tutto, correre via al mare o via al sole perché non ne vada sprecato un solo attimo.
Altrove tutto ciò sarebbe illogico ed impensabile.
Ed ecco riaffacciarsi alla memoria di Massimo una mitica notte di Capodanno a Positano con Carla Boursier "bionda coda di cavallo oscillante" i baci, le parole, i ciottoli freddi, il mare e una esaltata promessa d'amore; poi la Grande Occasione Mancata, Massimo fallisce per troppo amore o forse perché i suoi sentimenti non riescono a conciliarsi con il possesso e da allora in poi resta in lui la consapevolezza che qualcosa è definitivamente compromesso. I giochi giocati.
Segue poi il "tradimento" di Carla, il tentato suicidio di Massimo.
Ma l'amore non consumato con Carla non è la sola Grande Occasione Mancata, la profonda disillusione non riguarda solo lui e lo scacco non è solo amoroso. Il disinganno riguarda tutta la città, amata ed odiata, e tutti i suoi falsi miti. L'attesa del miracolo. La stasi catalettica. Napoli senza futuro. Napoli che ti ferisce a morte o ti addormenta o insieme le due cose.
Napoli Foresta Vergine, Napoli Sabbie Mobili, dove non riesci a districarti, perdi il tempo e le energie e non hai più la forza per fare nient'altro. “Bisognerebbe mettere - una bella scritta al neon, grandissima in cima al Vesuvio, così che ognuno potesse leggerla: CHI RESTA SARA' SOPRAFFATTO".
"La Gran Madre Napoli o no, forse la Gran Gatta che si pappa i suoi figli >prima ancora che abbiano avuto il tempo di aprire gli occhi sul mondo".
Massimo ha cercato lavoro a Napoli prima di decidersi ad abbandonare la sua città ma è stato inutile, troppo stridente il conflitto dei sentimenti negativi - positivi.
Non ha voglia di piegarsi, "di incanaglirsi" di farsi stritolare dai luoghi comuni dagli stereotipi che condannano il sud ad un bieco inutile provincialismo senza riscatto.
Gli ultimi capitoli comprendono alcuni episodi dei ritorni a Napoli del protagonista, ormai fuori del dramma, osserva la realtà circostante con maggior disincanto. Ritrova qua e là vecchi amici (Sasà giovane vecchio) vecchie chiacchiere.
Ma dovunque ancora e sempre gli sembrerà di camminare dietro qualcuno, Carla, Ninì, " di cui sento ancora, vicini, i passi sopra queste pietre"
13/2/2004
  
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