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Approfondimenti
Notturno
di Franco Polichetti
Correva l’anno 2012 quando compii l’ultima visita alla Cappella Sansevero come guida di un gruppo di amici, miei ospiti, provenienti dalle Puglie.

Ma non vi allarmate amici cari, perché non è della Cappella, quale scrigno unico e ricco di eccezionali opere d’arte, che io intendo parlarvi, anche perché chi non la conosce? Ma chi tra voi l’ha visitata, non è rimasto estatico e fuori di sè per lo splendore iconografico?

Non si coglie, forse, nel suo percorso iconografico, pur nella sua sibillinità, la rappresentazione di un cammino iniziatico o meglio esoterico teso alla conoscenza ed al perfezionamento interiore dell’uomo?

E come spiegare lo stupore, lo smarrimento che incute in ogni visitatore quel Cristo Velato, ovvero la Pudicizia, e il Disinganno?

E se persino il grande Canova, pur non essendone l’autore, tentò di acquistare quel Cristo, e se ai giorni nostri l’insigne maestro Riccardo Muti ha adottata quell’immagine per un C.D. di una sua esecuzione del Requiem di Mozart, avranno un loro significato queste scelte e avranno una loro genesi?

Finora a questi interrogativi si è risposto quasi sempre avvolgendo i personaggi ed i luoghi nella leggenda e nel mistero di strani accadimenti, in parte storicamente accaduti, ma prevalentemente fantastici, partoriti dall’immaginazione popolare.

Esporrò prima i fatti secondo la leggenda e la narrazione popolare, e poi cercherò di pervenire, attraverso un nuovo percorso, a quella che le più recenti ricerche, vanno accreditando come la vera origine e storia di questi luoghi, come teatro di avvenimenti eccezionali.

Ho, in apertura del presente scritto, citata la data dell’anno 2012 per una ben precisa circostanza.

Durante la visita in quel giorno, era arrivato l’orario di chiusura, ed io col il mio gruppo, in ritardo, ci affrettavamo a raggiungere l’uscita secondaria; ma proprio in prossimità di questa c’era una Signora che, molto cortesemente, ci salutò con un’aria e un garbo, tutto particolare, al punto che io istintivamente le chiesi come mai proprio una signora stesse lì su quell’uscio ad indicare l’uscita e a darci il commiato.

Quella Signora, secondo quanto ella stessa mi riferì, era una lontana discendente della famiglia Di Sangro, attuale gestore di questo museo, museo che, grazie alla sua cura ed all’impegno finanziario della sua famiglia dal 1990, è a noi possibile, di nuovo, visitare.

Lo scambio di qualche parola fu sufficiente a fornirmi un’indicazione che mi giunse inaspettata, ma molto utile. La gentile signora mi informò che sarebbe stato di imminente pubblicazione un lavoro di ricerca documentata, sulla cappella e la famiglia di Sangro, di una studiosa di nome Beatrice Cecaro, sua consanguinea, e anch’essa lontana erede Di Sangro.

Questa ricerca tende a rettificare e, là dove necessario, smentire i tanti luoghi comuni che nel corso dei secoli si sono accumulati sul palazzo, sulla famiglia e sulle opere presenti nella Cappella e sulla figura di don Raimondo, settimo principe di Sansevero.

Inutile dire che dopo qualche settimana quella pubblicazione era sul mio tavolo. Eccone il titolo: “Madre di Pietà” sottotitolo “Amore e morte all’ombra della Cappella”.

Seguendo il corso dei ricordi familiari e delle suggestioni che ancora oggi suscitano quei luoghi, l’autrice con questa ricerca, fondata sui documenti e sui riscontri nonché le testimonianze dell’epoca, pazientemente rintracciati in archivi e biblioteche, indaga interrogandosi sul vero motivo che spinse i suoi antenati, e per ultimo l’ecclettico ed “illuminato” Raimondo, alla fondazione di questo Tempio.

Ne emerge una storia complessa con una connotazione di straordinaria emotività, finora mai raccontata.

Ma procediamo con ordine premettendo che ci accingiamo a parlare separatamente di più entità le cui storie s’intrecciano nel corso dei secoli. Mi riferisco al Palazzo Sangro di Sansevero, alla famiglia di Sangro e alla Cappella di Sansevero.

Il palazzo Di Sangro fu eretto nella prima metà del XVI sec. (tra 1500 e il 1530) per volere di Paolo di Sangro, un capostipite di quella famiglia, su progetto di Giovanni da Nola. L’edificio, circondato da un ampio giardino delimitato da un muro di cinta, era in quell’epoca abitato da Giovan Francesco di Sangro, duca di Torre Maggiore.

Ed ecco la prima leggenda: sul lato nord del muro del giardino c’era dipinta un’immagine della Madonna della Pietà, e giacchè il popolo attribuiva a quell’ immagine numerose elargizioni di grazie, per quell’effigie si era andata consolidando, nell’opinione pubblica generale, la credenza che avesse una notevole virtù miracolistica.

Infatti, tra i tanti miracoli di cui si parlava, si raccontava quello di un giorno in cui accadde che, mentre per quella strada passava un povero diavolo che, per errore, veniva trascinato in carcere, sebbene innocente, il muro crollò e d’un tratto apparve agli occhi del disgraziato l’immagine della Madonna in frantumi.

Il povero uomo si raccomandò a quell’immagine facendo voto che se la Madonna avesse fatto riconoscere la sua innocenza avrebbe fatto dipingere di nuovo la sua immagine e Le avrebbe dedicata una targa d’argento. Siccome egli ottenne la libertà mantenne la promessa votiva mentre la notizia del miracolo accaduto velocemente corse fra il popolo.

A questo strano evento si attribuisce l’origine e l’edificazione della Cappella che, inizialmente, fu chiamata Pietatella, dall’immagine raffigurante la Madonna di Pietà.

La fama della Madonna miracolosa crebbe rapidamente sì che quando il Duca Francesco di Torre Maggiore, per un’improvvisa infermità si era ridotto in fin di vita, invocando da quella sacra immagine la guarigione, promise d’innalzarle una cappelletta.

Esaudito anch’egli, col riacquisto della salute, dette esecuzione al suo voto e tosto dispose, era l’anno 1590, di edificare la cappella, che fondata inizialmente per uno scioglimento di voto, si andò cambiando, man mano in cappella sepolcrale dei discendenti di Giovanni Francesco di Sangro.

Fu, all’inizio, un piccolo tempio, ben diverso da quello odierno, noto come Pietatella dall’immagine della Madonna di Pietà, nome con cui, ancora oggi, è da taluni autori indicata.

Il palazzo di Sangro, preesistente come innanzi indicato, con la sua monumentale facciata prospetta in parte su piazza S. Domenico Maggiore, mentre col suo prospetto nord si affaccia sul vicolo De Sanctis. proprio difronte alla Cappella.

Fino al 1889 un arco, attraversando il vicolo, univa il palazzo con la Cappella, cosicchè i proprietari potevano accedervi direttamente dalla loro residenza.

L’arco nel 1889, per infiltrazioni di acqua nelle fondamenta, crollò trascinando con sé anche l’estrema ala del palazzo. Questo disastroso evento dal popolino fu immediatamente collegato all’antica, ma tutt’ora tràdita leggenda, secondo cui il palazzo Sansevero era maledetto.

All’origine di questa leggenda, c’è una delle più struggenti storie d’amore di tutti i tempi. Ancora oggi, si dice, che i fantasmi dei protagonisti di quella storia animano di notte le vie del centro storico.

La tragedia accadde nella notte del 18 ottobre del 1590 quando le mura del Palazzo Sansevero divennero testimoni di un’orrenda vicenda. Racconta il cronista Carmine Modestino (Discorsi tre in Napoli 1861) che i coniugi Don Carlo Gesualdo, terzo principe di Venosa, e la sua seconda moglie Maria d’Avalos, donna bellissima e sensuale figlia del conte di Montesarchio, abitavano in uno degli appartamenti del palazzo di Giovanni Francesco di Sangro, in piazza S. Domenico Maggiore, tenendolo forse in fitto.

Per Maria, appena ventenne, quelle con Gesualdo, suo cugino, erano già le terze nozze. Le prime quelle con Federico Carafa a soli quindici anni, erano finite con la precoce morte del marito. Si diceva che il misero fosse morto per l’eccessiva attività di letto richiesta da Maria.

Quelle con il cugino Gesualdo furono anch’esse subito allietate dalla nascita di un figlio Emanuele, giacché i due figli avuti nei precedenti matrimoni erano ambedue morti.

Carlo Gesualdo era un eccellente compositore di musica sacra e madrigali e come tale riconosciuto maestro eminente e ispiratore, ancora oggi, di molti cantautori contemporanei.

Il matrimonio tra i due cugini, all’apparenza, proseguiva normale, ma dopo quattro anni qualcosa era mutato. Maria, anche in pubblico non negava il fatto che suo marito fosse poco attraente, privo di interessi e ossessivo nei modi.

Di conseguenza incominciò a mostrare noia per la sua musica e per i suoi interessi, e quindi spiritualmente allontanandosi da quell’uomo, si sentiva sempre più attratta dal desiderio di qualcosa di nuovo.

Durante una delle feste da ballo, che la nobiltà napoletana era solita organizzare, le fu presentato l’avvenente Fabrizio Carafa conte di Ruvo e duca d’Andria, conosciuto per il suo fascino con l’appellativo l’arcangelo, sposato con la nobildonna Maria Carafa da cui aveva avuto quattro figli.

Tra i due scoccò subito una scintilla di inquietante passione e nel giro di brevissimo tempo divennero amanti. Inizialmente si incontravano di nascosto alle feste, ma poi finirono con lo scambiarsi ore di travolgente intimità proprio nelle stanze della principessa, favoriti dalla complicità di una certa Laura Scala, cameriera di Maria.

Le voci di questa tresca cominciarono a serpeggiare in tutti gli ambienti napoletani, quelli popolari e quelli nobiliari, dovunque circolavano bisbigli, sussurri e smorfie senza risparmio.

Don Gesualdo, inizialmente si chiuse nel silenzio, rifiutandosi di credere a tutte quelle calunnie che circolavano intorno ai due amanti e intanto componeva struggenti melodie, dedicate alla moglie, nella speranza di riconquistarla.

Se non che Giulio Gesualdo, uno zio di Carlo, sdegnato per non aver ottenuto anch’egli l’amore che insistentemente chiedeva a Maria, svelò dettagliatamente al nipote la tresca in atto tra sua moglie e Fabrizio.

In Gesualdo l’idea della vendetta si faceva ogni giorno più pressante finchè una mattina annunziò che quella sera non sarebbe ritornato a casa per recarsi a caccia nel Parco degli Astroni, e per dare ancora più valore all’annuncio, indossati gli abiti di campagna, in compagnia di parecchi amici si pose a cavallo e finse di partire.

Celatosi invece presso un amico, intorno alla mezzanotte raggiunse la sua dimora; ed entrato irruentemente con i suoi complici armati, nella camera da letto, sorprese la moglie con l’amante nel bel mezzo di un turbinoso amplesso, e li fece trucidare entrambi.

Il giorno seguente i Giudici Criminali della Gran Corte della Vicaria entrarono nella camera da letto e trovarono il corpo straziato di Fabrizio Carafa, senza vita e poco distante da lui il cadavere della bella Maria.

Per il disonore e lo scandalo arrecati alla nobiltà, i corpi dei due amanti furono esposti nudi come monito, la mattina seguente in mezzo alle scale del palazzo e tutta la città corse a vederli.

Questo cruento episodio, per la pietas che suscitò, negli animi della grande maggioranza dei napoletani, fu assunto come argomento di numerosi componimenti poetici, tra i quali lo storico Modestino, riporta tre sonetti ed un madrigale del Tasso.

Ma il ricordo di quel delitto rimase così vivo nella memoria del popolino ed in tutto il circondario, che dopo tre secoli volle vedere nella rovina del palazzo Sansevero, avvenuta come già detto nel 1889, una conseguenza di quel lontano e cruento misfatto.

Ci soffermiamo adesso sull’altra leggenda che avvolge il complesso Cappella e Palazzo Sansevero di cui, oltre gli abitanti del quartiere tutta la città parlava, descrivendo il palazzo come un edificio maledetto.

Questa leggenda fu ulteriormente rafforzata quando, a completare un quadro di dicerie già inquietanti contribuì, due secoli dopo, nel 1742, Raimondo di Sangro, il principe di Sansevero, chiacchieratissimo per i suoi esperimenti alchemici, per le sue curiose invenzioni e, soprattutto per le straordinarie sculture con cui si impegnava ad ornare la cappella di famiglia.

Ecco come il Chiarini in Celano (notizie del bello… e del curioso della città di Napoli 1858) descrive questo singolare genio: “fu uomo assai culto ed intelligente delle belle arti, e magnifico mecenate degli artisti, vi profuse oro, tempo e cura, e v’adoperò la stessa sua mano ed il suo ingegno per arricchirla”.

La voce del popolo, si sa, fa presto a dare corpo anche ad un semplice sospetto. Sospetto e maledetto è il sangue dei di Sangro, perché ritenuti partecipi dell’efferato delitto, e maledetto è anche il loro palazzo, che di fatto è parzialmente crollato e dove, di notte, secondo il popolino, pare che ancora oggi, si sentano le grida di terrore degli amanti assassinati.

Si aggiunga, a dare ancora maggiore forza a queste dicerie che “Don Raimondo”, per le sue ricerche, aveva impiantato negli scantinati del palazzo il suo laboratorio chimico e frequentemente lavorando, nelle ore notturne, dai finestrini dei locali, che davano sulla strada, si vedevano improvvisi bagliori sprigionati dalle fiamme dei fornelli che adoperava.

Anche ciò veniva interpretato dagli abitanti della zona come conferma della presenza di spiriti sofferenti ancora aggirantisi in quel palazzo.

Altre leggende oltre quella di aver egli messa a punto una sostanza con cui bagnando il velo che avvolge il Cristo questo si sarebbe solidificato assumendo l’aspetto e la consistenza del marmo, è quella delle macchine anatomiche.

La leggenda vuole che i due scheletri che mostrano, con impressionante realismo, la circolazione arteriosa e venosa di noi umani, siano di due servi del marchese sacrificati e poi mummificati con la collaborazione e consulenza del medico palermitano Giuseppe Salerno.

Ma da oggi, grazie alla ricerca di Beatrice Cecaro, discendente dei di Sangro, viene gettata una luce nuova sui suoi antenati, rivelando il vero motivo della fondazione della cappella Sansevero, mettendola in relazione col complesso progetto iconografico di Raimondo, scagionando i di Sangro dal sospetto infamante di complicità col delitto compiuto da Gesualdo.

Ma di questo, del valore e del significato esoterico di tutto il meraviglioso complesso plastico e iconografico, raccolto in questo scrigno, unico ed inestimabile, mi auguro di poter parlare in un futuro non troppo lontano.
13/7/2018
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