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Cultura
Alla scoperta di S. Gregorio Armeno - 2
di Franco Polichetti
Seconda parte
Nella precedente parte ho parlato di San Gregorio Armeno come un complesso conventuale scrigno di un enorme patrimonio di storia e di arte e non come una strada da scoprire soltanto a Natale quale luogo delle botteghe presepiali.

Parlerò adesso dell’attività religiosa, sociale e spirituale che la comunità delle suore di questo monastero ha svolto durante mille e oltre anni di storia.

Riassumo preliminarmente, e in qualche misura un po’ integro, la storia di tutto il complesso conventuale, un monumento tra i più straordinari al mondo, in cui si son svolte, senza soluzione di continuità, attività religiose, sociali, e artistiche, dalla lontana origine sino ai nostri giorni, attività in cui si colgono la rappresentazione della più intima natura di Napoli e le caratteristiche che connotano i fondamenti della napoletanità.

A metà dell’VIII circa le monache basiliane che, fuggite da Costantinopoli, a causa delle lotte iconoclaste, erano approdate a Napoli, furono ospitate, provvisoriamente, nelle vicinanze di Castel dell’Ovo mentre esercitarono le funzioni religiose e sociali nella Diaconia di S. Gennaro Dell’Olmo, la chiesa che prospetta su via S. Biagio dei Librai e forma angolo con via S. Gregorio Armeno.

Ma le esigenze della vita e dell’attività monastica richiedevano specifiche strutture e più adeguati spazi. Infatti ”I cenobi a quell’epoca erano composti” la maggior parte di molte case, ciascuna adibita ad una monaca con due servienti; e tutte recinte da mura aventi di dentro una o più chiese, quasi a forma di una piccola città”.(G.A.G.)

Era ovvio quindi che la prima struttura ad essere creata dalla comunità religiosa fosse il monastero quale luogo della loro nuova dimora napoletana.

Esso sorse nelle immediate vicinanze della Diaconia e secondo la tradizione, sui resti dell’antico tempio di Cerere e occupò tutta l’intera regione che, in quel tempo, era chiamata Nostriana, perché voluta da Nostriano vescovo di Napoli dal 452 al 465, come area destinata a funzioni sacre e ad un impianto di terme per i poveri.

Quivi erano sparse alcune edicole, quasi piccole chiese, tra cui si ricordano quella di S. Salvatore e quella di S. Sebastiano e un monastero quello di S. Pantaleone fondato fin dal 750 d. C. dal Duca-Vescovo Sergio Il.

Il nuovo monastero, come è attestato da fonti archivistiche, era già attivo nel 930, ma tra il 1010 e 1040, il Duca Sergio IV, sollecitato da un’abatessa Maria, appartenente alla famiglia ducale, per migliorarne la comodità e la funzionalità, fece inglobare le due edicole, quelle dei Ss. Salvatore e Sebastiano, in un unico corpo e vi aggregò anche il monastero di S. Pantaleone.

Da allora l’ordine basiliano, accettandone la regola, divenne ordine benedettino.

Ma il convento di S. Pantaleone era situato dall’altro lato della via e cioè alla destra di chi sale l’attuale via di S. Gregorio Armeno, per cui fu necessario costruire, per il collegamento alla nuova costruzione, un cavalcavia sul quale successivamente nel XVII sec. fu alzato il campanile che tuttora caratterizza quel tratto di strada.

La chiesa, composta dall’inglobamento delle due edicole, fu in origine dedicata a San Patrizia di Costantinopoli le cui spoglie le basiliane avevano devotamente conservate insieme all’ampolla con il sangue.

Queste reliquie furono quivi deposte e qui il popolo napoletano le venerò con così grande devozione che il Duca-Vescovo Sergio V elevò Santa Patrizia a compatrona di Napoli.

Il monastero quindi da quell’epoca divenne popolarmente noto come convento di Santa Patrizia, e tutt’oggi la chiesa tra il popolo è nota con questo nome.

Infatti dal 1922 nella chiesa operano le Suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucarestia, comunemente chiamate suore di S. Patrizia.

L’urna con il corpo della santa è oggi meta di pellegrinaggio così come l’ampolla con il suo sangue, che si scioglie il 25 agosto di ogni anno.

Secondo quanto riferito da Aspreno Galante intorno al 1000 il convento ospitava oltre trecento suore che dopo la riforma tridentina (1563) si ridussero ad una cinquantina.

Solo dal 1205 fu deciso di dedicare la chiesa a S. Gregorio Armeno e poiché nel frattempo, come ho già detto, l’ordine basiliano aveva adottata la regola benedettina, per le nuove funzioni, fu necessario tra il 1574 e il 1580 ristrutturare radicalmente tutte le preesistenze inglobandole in una sola navata con cinque cappelle per ogni lato, su progetto di Giovanni Battista Cavagna, un progetto molto innovante ispirato al pieno rispetto del dettato controriformista.

In sostanza la chiesa sotto il profilo architettonico, assunse quella forma e consistenza in cui noi oggi l’ammiriamo. Ma, quasi contemporaneamente, fu deciso di adeguare anche il convento alle nuove rigide regole dettate dalla riforma tridentina, e a tale scopo nel 1563 l’arch. Vincenzo della Monica fu incaricato di redigere il relativo progetto in base al quale, fra gli anni 1572-1577 furono eseguiti e portati a termine i lavori.

Il convento in tal modo risultò ampliato di quaranta camere con logge sul davanti affacciate tutte sul chiostro per rendere gli ambienti rispondenti alla stretta clausura imposta dalla controriforma.

Dunque questa la storia e lo stato della sede conventuale intorno al 1600, ma vediamo ora che ruolo e che funzioni svolsero le suore al suo interno e verso la comunità dei fedeli tutti, come reazione alle innovazioni tridentine.

Il monastero, come più volte ho già detto, fu un prestigioso centro di potere, di cultura, di arte e di spiritualità, ed ancora oggi, in parte, lo è. Un luogo vissuto e governato da donne dove la presenza femminile, ha favorito la creazione e la conservazione di un ricchissimo patrimonio, frutto dell’intelligenza, della volontà e della cura di donne che, dovendo viverci, in molti casi non per propria scelta ma perché costrette, espressero, con fermezza, intraprendenza, e competenza tutte le loro capacità, per creare un luogo dove poter vivere senza troppo soffrire la mancanza di libertà e quindi a tale scopo, non lesinarono neanche di investire sostanziosi patrimoni economici personali.

Le benedettine, che hanno gestito il convento, ed ancora oggi lo gestiscono, appartenevano alle famiglie più in vista dell’aristocrazia napoletana: (Caracciolo, Spinelli, Galeota, Loffredo). Esse, in ogni tempo, seppero assumere ruoli e prendere iniziative in difficili momenti e contesti storici tormentati da aspre conflittualità sociali, con capacità di contemperamento tra i ruoli religioso e politico istituzionali, facendosi carico di responsabilità che richiedevano capacità di mediazione tra dimensione religiosa e apparato politico istituzionale.

Il convento, salvo poche presenze dovute a vera e propria vocazione, fu rifugio per le nobildonne che escluse dal matrimonio erano considerate meritevoli di dignitosa ed adeguata collocazione. Esse divennero le protagoniste rispettate per l’impegno profuso verso la cosa pubblica (pregavano per il bene della città) per l’assistenza all’infanzia, per l’educazione delle fanciulle, per i cospicui investimenti economici personali necessari per la conservazione ed il continuo miglioramento della dimora conventuale.

San Gregorio Armeno si presenta quindi, nella sua ultramillenaria storia, come un centro di iniziative culturali, di relazioni politiche e di esperienze religiose.

I legami, sempre saldi, con le influenti famiglie di origine, i contatti con l’esterno (attraverso amministratori, procuratori, chierici, medici, architetti, artisti), l’organizzazione di feste (con pranzi, musica, teatro), le committenze artistiche e le opere di miglioramento e ampliamento architettonico così frequentemente commissionate, manifestano la volontà da parte di queste donne, nonostante la clausura, di prendere parte pienamente alla vita sociale e culturale della città.

Ma questo monastero non fu solo un esempio di cura del sacro, di gusto del bello, ma anche un esempio di fucina culturale musicale e letteraria femminile di cui custodisce pregevoli esemplari nei suoi archivi.

Ed a quesito proposito intendo soffermarmi su due testi di singolare importanza, conservati in questo monastero e scritti a distanza di tre secoli, da due donne, Fulvia Caracciolo ed Enrichetta Caracciolo, protagoniste di due eventi storici: l’una, Fulvia, testimone attonita delle applicazioni del Concilio di Trento sui monasteri napoletani (1580), l’altra, Enrichetta che, lasciato il monastero (1864), diventa oltre che attivista della causa risorgimentale italiana, l’antesignana della rivendicazione liberale femminile.

Due donne colte, promotrici dell’emancipazione femminile, che hanno lasciato la memoria dei tragici avvenimenti da esse vissuti e che hanno segnato la fine di due mondi: da una parte la crisi del rinascimento napoletano come conseguenza della controriforma cattolica-tridentina; dall’altra i moti risorgimentali che portarono alla fine del Regno delle due Sicilie, e decretarono la soppressione degli ordini religiosi. E di esse parlerò nella terza parte.

Per la prima parte clicca qui:
http://www.napoli.com/viewarticolo.php?articolo=43918

17/9/2018
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