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Addio Marcella, prima napoletana olimpica
di Adriano Cisternino (da: Il Mattino del 14.11.2018)
Lutto nell'atletica italiana. È scomparsa lunedì scorso Marcella Jeandeau, prima donna napoletana a partecipare ad un'olimpiade. Aveva compiuto 90 anni da pochi mesi essendo nata il 26 giugno 1928. Partecipò alle olimpiadi di Londra 1948 nella staffetta 4x100. Ma un errore nei cambi mandò all'aria tutte le aspettative che pure non erano poche.

Marcella aveva corso la prima frazione ed aveva consegnato il testimone con l'Italia in “zona medaglia”, dopo aver lottato spalla a spalla con l'olandese Blankers Koen, poi definita la “mamma volante” (quattro ori).

Il cittì azzurro, Oberweger, aveva affidato la partenza alla napoletana perché, con i suoi nervi d'acciaio, era la più adatta ad evitare i rischi di una falsa partenza. Il pasticcio avvenne nel cambio fra seconda e terza frazionista, cosa che le provocò un grande, incancellabile dolore.

Era ormai mamma e nonna, ma due grandi crucci la torturavano quando raccontava se stessa: il fallimento dell'avventura olimpica per colpe non sue e la disattenzione dei giornalisti nello scrivere il suo cognome al quale sottraevano spesso una vocale “Jandeau” anziché “Jeandeau”.

Forte e decisa di carattere, era arrivata all'atletica dopo aver praticato con successo anche ciclismo e pattinaggio. Da ragazza abitava al Vomero ed il padre, Mario, rugbista, la indirizzò all'atletica portandola allo stadio, attuale Collana, dove si allenavano anche gli azzurri del calcio allenati da Monzeglio.

Era bellissima Marcella ed attirava gli sguardi dei calciatori. Si racconta che lo stesso Monzeglio una volta le abbia mandato un fascio di rose. Cominciò con gli 80 ostacoli, ma litigava con le barriere, e allora passò alla velocità pura: 100 e 200 metri divennero subito le gare che la proiettarono in campo nazionale.

Papà Mario le promise una Fiat in regalo se avesse partecipato alle olimpiadi. Lei a Londra ci andò, ma la Fiat rimase solo una promessa. Ed anche questo la rattristò parecchio. Il fatto è che all'epoca una ragazza che andava in calzoncini corti, sia pure sulle piste, era quasi uno scandalo.

E in famiglia, specialmente le zie, non la presero bene, la chiamavano “la guitta”, nel senso più dispregiativo naturalmente. Ma lei aveva una mentalità avanzata e nella sua vita lo sport era al primo posto, subito dopo la famiglia.

Liceo classico all'Umberto, poi l'università all'Orientale, ma a pochi esami dalla laurea ebbe precedenza il matrimonio. Nel 1953 sposò Ruggero Pane, ingegnere. Un grande amore, tre figli, Paolo, Antonella ed Alessandra, che da piccolissimi lei portava sulla neve a Roccaraso.

I viaggi, altra grande passione. Lasciava il marito a casa e partiva perché - diceva – se cadeva l'aereo ai figli sarebbe rimasto almeno un genitore.

Rimasta vedova nel 2008, riversò tutto l'affetto sui nipotini, con i quali giocava a pallavolo nei corridoi della sua ultima casa in via dei Mille. Ma era attivissima anche fuori casa: fino ai 75 anni curava la preparazione atletica di un gruppo di tenniste in viale Giochi del Mediterraneo.

Da tempo soffriva di vasculopatia cerebrale e non usciva più. Da ieri è tornata a correre per le infinite corsie del cielo.
14/11/2018
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