Calcio
Roberto Fiore torna tra i centomila cuori
di Mimmo Carratelli
(da: Roma del 24.01.2020)
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Una semplice targa col suo nome, Roberto Fiore, e una definizione semplice, “
uomo di sport”, appare sul muro della Tribuna Posillipo, ed è come se il presidente del Napoli dei centomila cuori fosse di nuovo qui, nel suo stadio di quella metà degli anni Sessanta, tra la risata argentina del petisso e le sceneggiate fra Omar e Josè, il San Paolo tutto una festa e il suo Napoli prima squadra italiana a superare il miliardo di lire di incasso col record dei 69.344 abbonati imbattuto persino negli anni di Maradona.
E quello che vediamo, nella commozione del ricordo, che Marcello Pelillo ha voluto, sostenuto dall’assessore comunale allo sport Ciro Borriello e dall’Unione stampa sportiva con Gianfranco Coppola e Mario Zaccaria, quello che vediamo è l’affascinante ovale del San Paolo disegnato da Carlo Cocchia con la collaborazione di Gerardo Mazziotti prima che venisse umiliato dall’orrenda copertura del 1990 e il bel viso sorridente di Roberto, la sua bella figura di uomo mediterraneo,
‘o cchiù bellillo, come lo definì il padre tra sei figli, capelli corvini, naso arabeggiante, occhi vivaci e inquieti, finestre luminose della sua immensa passione sportiva che segnò un’epoca felice del Napoli, tra sogni e fantasie.
E, naturalmente, dal sottopassaggio sbucano Bandoni, Panzanato, Zurlini, il piccolo Fanello e il rosso Spanio, e fu l’inizio di tre anni di gloria e baldoria sotto lo sguardo severo di Antonio Juliano, Ronzon ghiotto di China Martini, Tonino Girardo, l’irriducibile, e Faustinho Canè, il bomber di cioccolato, al tempo delle mani d’acciaio e delle caramelle di Michelangelo Beato e dei vassoi di caffè di Gaetano Masturzo, autentico signore dello spogliatoio azzurro.
Vennero poi Sivori e Altafini, Orlando, Ottavio Bianchi, Miceli e Braca e Stelio Nardin, in quegli anni in cui fummo secondi come non era mai accaduto, scorazzando in Europa fra Odense e Burnley, e vincendo una Coppa delle Alpi che fu un trofeo magnifico perché lo sottraemmo alla Juventus di Heriberto e questa fu la felicità di Sivori in azzurro contro il suo persecutore a Torino.
Ed è giusto che la targa per Roberto sia stata posta sulla Tribuna Posillipo perché il Circolo Posillipo, dopo il Napoli, fu il regno del suo entusiasmo e degli scudetti d’acqua con il pibe de oro delle piscine Stefanuzzo Postiglione, gli ineguagliabili fratelli Porzio, Mario Fiorillo, i Fiorentino e Sudar, l’Attila degli ungheresi.
I nostri favolosi anni Sessanta. Via Partenope brulicava di night, Domenico Modugno e Ornella Vanoni cantavano “
Tu si’ ‘na cosa grande” al Festival di Napoli,
scì scì Piazza dei Martiri, Carlo Pedersoli era diventato Bud Spencer, e andavamo a Ischia, la “
patria di mare” di Roberto Fiore, l’isola dove sbarcavano le stelle di Hollywood e Cinecittà e apparve Peppino di Capri, e il Napoli di Roberto era come il golfo, azzurro e scintillante, non pretendevamo di vincere lo scudetto ed eravamo una bella banda di amici dietro al pallone.